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«Non basta fare del bene, bisogna farlo bene»

Formazione – La SUPSI, in collaborazione con la Federazione delle ONG della Svizzera italiana (FOSIT), propone un corso per volontari attivi nel campo della cooperazione e dello sviluppo
/ 26/06/2023
Fabio Dozio

La volontà non basta più. Il modo di fare volontariato, nel corso degli anni, si è trasformato. Cambia il mondo e cambiano, lentamente, i rapporti tra Nord e Sud del pianeta. Cinquant’anni fa il volontariato all’estero poteva avere connotazioni romantiche o anche religiose o politiche. Oggi è necessario acquisire una formazione adeguata e competenze che rendono professionale il ruolo del volontario, che può agire in Svizzera o nel Paesi del Sud globale.

Da una decina d’anni è attivo un corso in Cooperazione e sviluppo, CAS (Certificate of Advanced Studies), organizzato dalla SUPSI in collaborazione con FOSIT, l’ente che raggruppa una sessantina di Organizzazioni non governative (ONG) della Svizzera italiana, operative nella cooperazione internazionale e nell’aiuto umanitario. Il corso ha permesso a più di 130 persone, a partire dal 2014, di ottenere il Certificato in Cooperazione e sviluppo.

«La collaborazione con la SUPSI è partita dal bisogno di formare volontari e professionisti delle ONG della Svizzera italiana. – ci dice Marianne Villaret, segretaria generale della FOSIT – La metà delle nostre ONG ha certificato un suo volontario. Il corso soddisfa le esigenze di formazione a diversi livelli: gestione dei progetti, aspetti tecnici legati alle nuove leggi, aggiornamento su tematiche attuali come gli abusi e l’importanza dell’etica nel lavoro di volontariato. Non mancano temi più teorici come l’economia politica della cooperazione o la rilettura critica delle relazioni Nord Sud. La parola chiave è aggiornamento: le situazioni cambiano e ci si deve adeguare alle diverse realtà sociopolitiche: nuove sfide, cambiamenti climatici, prevenzione e resilienza. Tante novità, come la sostenibilità legata all’agenda 2030 delle Nazioni Unite».

Jacques Forster, esperto di cooperazione, professore al CAS SUPSI, sottolinea che negli ultimi anni c’è stato un riequilibrio nelle relazioni di potere tra chi fornisce l’aiuto e chi lo riceve, i Paesi più poveri. Secondo il professore è sempre più significativo il ruolo della società civile e delle ONG dei Paesi del Nord: «Quando si guarda alla storia della cooperazione e dell’aiuto umanitario si vede che sono spesso queste organizzazioni che sono riuscite a spingere gli Stati a intervenire maggiormente a favore delle popolazioni più vulnerabili. Credo che le ONG siano molto importanti non solo per quello che fanno sul terreno, ma anche per il ruolo di informazione e sensibilizzazione della popolazione».

Questi cambiamenti richiedono una maggiore preparazione dei volontari e quindi una professionalizzazione. «Si lavora per capire come è cambiata la cooperazione, – spiega Anna Jaquinta, coordinatrice del corso SUPSI – come si è evoluta e quali sono le grandi sfide globali. È importante sviluppare un pensiero più critico rispetto ai cambiamenti in atto nel mondo offrendo strumenti operativi per realizzare progetti di cooperazione in grado di essere messi in pratica sul campo. Non si può pensare di partire come si faceva una volta con l’idea che noi sappiamo tutto e abbiamo tutte le soluzioni. Bisogna imparare a relazionarsi con l’altro e portare avanti un approccio più partecipativo sul terreno. Le classi del corso sono molto variegate, ci sono giovani freschi di laurea o persone attive da anni nelle ONG o nel sociale che desiderano riorientare la loro carriera. È un ambiente stimolante e si creano dibattiti proficui».

All’edizione 2023/24 del corso, che inizierà a settembre, ci si può iscrivere entro fine luglio. Il CAS offrirà una griglia tematica rinnovata con vari moduli accessibili anche a un pubblico esterno. I corsi si tengono alla SUPSI di Mendrisio, di regola il venerdì e il sabato, per 210 ore di lezione. IL CAS è sostenuto dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione del Dipartimento federale degli affari esteri, ciò che permette di avere un costo relativamente contenuto, 3500 franchi (www.supsi.ch/cas-cs).

Alberto Mandelli ha seguito il CAS per migliorare le sue competenze nella gestione della sua ONG. «Da dieci anni opero all’interno di una ONG che ho ideato e creato assieme ad altri. – ci spiega – Lo scopo è il finanziamento di borse di studio per accedere a un’università del Camerun. Non volevo avere un modello passivo che vivesse solo di donazioni e quindi abbiamo deciso di creare una società di business sociale che opera nell’ambito informatico. La struttura è redditizia e gli utili, invece di andare agli azionisti, vengono utilizzati per finanziare le borse di studio. I giovani che accedono all’università grazie ai sussidi, in cambio si impegnano a lavorare cento ore per progetti sociali nel loro Paese».

Un concetto interessante che permette di ottenere due obiettivi: l’aiuto allo studio e l’intervento sociale gestito in autonomia dai responsabili del progetto in Camerun. «Acquisire professionalità con il CAS per me è stato molto utile. – prosegue Mandelli – l’eterogeneità dei partecipanti è una grande qualità del corso. Chi si avvicina alla cooperazione allo sviluppo è persona di un certo tipo, quindi si crea un humus dal profilo relazionale che è un aspetto qualificante, un contesto fertile e stimolante. Forse è una parola grossa, ma per fare volontariato ci vuole un po’ di amore».

La pandemia ha stravolto anche alcuni aspetti della cooperazione. Marianne Villaret spiega: «La cooperazione allo sviluppo non è più separata dall’aiuto d’emergenza, adesso si lavora sul nesso, sul nexus, fra questi due ambiti. E questa è una conseguenza del Covid. Quando è arrivata la pandemia, il volontario ha dovuto modificare il suo intervento per occuparsi di aiuto umanitario d’urgenza. Per esempio, il partner locale non ha più potuto limitarsi a formare i docenti della scuola, ma doveva garantire la consegna dei sacchi di riso, per permettere ai docenti di rimanere a scuola». Lo slogan che Villaret ama ripetere è chiaro e lapidario: «Non basta fare del bene, ma bisogna farlo bene. L’aiuto allo sviluppo non può più essere concepito come un volontariato che pensa di salvare il mondo. Dobbiamo valorizzare l’aiuto allo sviluppo fatto con qualità ed etica e che non rischi di essere neocoloniale. Occorre partire dai veri bisogni dei Paesi in cui si interviene e non dal nostro immaginario; lavorare in modo professionale anche se si è volontari. Abbiamo fatto passi avanti in questi anni, lo vediamo anche nei bandi di concorso. C’è più trasparenza e più attenzione a non cadere nei vecchi stereotipi dell’aiuto umanitario. Il CAS permette di educare ad avere un nuovo sguardo sulle relazioni Nord Sud, strumenti e competenze per capire meglio le tematiche più importanti della cooperazione e dello sviluppo».

«Il mondo è sempre più complesso – annota Alberto Mandelli – La nostra ONG ha ragazzi in Camerun che lavorano ogni giorno da remoto con aziende svizzere. Da queste esperienze nascono tante domande. Per esempio: è giusto che noi imponiamo a dei giovani che stanno nel cuore del Camerun di acquisire la cultura di un’azienda svizzera per lavorare laggiù?». È uno dei tanti interrogativi sostanziali per valutare l’impatto dell’intervento di cooperazione ai quali non è facile rispondere, ma sicuramente merita di essere discusso fra i volontari e gli addetti ai lavori. «C’è una risposta? – si chiede Mandelli – Forse no, ma la professionalità può aiutare a gestire le relazioni e a evitare di fare danni».