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Il multilateralismo non è moribondo

di Pietro Veglio

  • 18 aprile 2018, 14:20
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Mercoledì 18 aprile 2018 alle 12:20

Chi ha celebrato anticipatamente il trionfo dell’attuale nazionalismo economico e del protezionismo commerciale del “prima l’America” e il tramonto inesorabile della governance istituzionale multilaterale potrebbe risvegliarsi presto dal suo sogno. Certo, le recenti iniziative economiche americane hanno destabilizzato i mercati borsistici e sconcertato i partner occidentali ed il governo cinese. Ma non hanno diminuito la loro determinazione ad opporsi al nazionalismo economico in versione trumpiana.

Mentre l’Unione europea ha finora reagito prudentemente, la Cina ha fatto capire che è pronta a colpire l’export americano con misure doganali di ritorsione che potrebbero rivelarsi fatali per Trump, soprattutto in vista delle elezioni legislative di novembre. Inoltre le reazioni negative agli aumenti dei dazi doganali statunitensi non sono mancate negli Stati Uniti, in particolare quelle dei produttori di soia, carne di maiale e cereali di alcuni stati rurali-chiave in chiave elettorale.

Sembrerebbe che sia in atto un ripensamento della disordinata strategia bilaterale seguita finora dall’amministrazione Trump. Tre recenti fatti tenderebbero a dimostrarlo. Il primo è che lo stesso Trump ha dichiarato di non opporsi ad un rinegoziato dell’adesione americana al Partenariato Trans-Pacifico di libero scambio concluso da undici Paesi asiatici e latino-americani. Gli stessi che nel 2016 negoziarono con l’amministrazione Obama un accordo poi respinto da Trump dopo il suo insediamento presidenziale. Accordo al quale potrebbero aderire nuovi Paesi-candidati – Corea del Sud, Indonesia e Filippine – e che ridisegnerebbe le regole del commercio e investimenti nell’importantissima area economica del Pacifico. Regole che nel futuro la Cina sarebbe indirettamente obbligata a rispettare. La possibilità di una riadesione americana rappresenterebbe per Trump un vero dietro-front strategico rispetto alle sue promesse elettorali. Il secondo è legato al fatto che l’amministrazione americana avrebbe deciso di appoggiare la richiesta della Banca mondiale volta ad aumentare di US$ 13 miliardi il proprio capitale. Una decisione sorprendente dato che l’amministrazione Trump si era opposta all’aumento che avrebbe voluto accettare solo se accompagnato da una forte riduzione dei nuovi prestiti alla Cina. A sua volta il Fondo monetario ha criticato gli Stati Uniti per il loro protezionismo aggressivo ed il rischio di guerre commerciali senza sollevare l’ira di Trump. Il terzo dipende dall’esito dei negoziati in corso fra Unione europea e Stati Uniti sulla richiesta di esentare l’export europeo di acciaio e alluminio dai dazi doganali recentemente decisi. In caso di mancato accordo l’Unione europea potrebbe decidere di puntare sulla riforma di alcune regole-chiave dell’Organizzazione mondiale del commercio. Con l’obiettivo sì di far fronte ad alcune pratiche cinesi ma sulla base di negoziati multilaterali e di rafforzare il tribunale arbitrale dell’organizzazione che dirime i conflitti commerciali fra Paesi-membri. Ovvero puntando sul consolidamento dei processi decisionali multilaterali invece di quelli bilaterali preferiti dall’amministrazione americana. Quest’ultima è consapevole del rischio che un processo di questo tipo potrebbe isolarla a beneficio dei suoi concorrenti, compresa la Cina.

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