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Cambiamenti climatici e trasporto marittimo

di Pietro Veglio

  • 2 maggio 2018, 14:20
Inquinamento marittimo
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Mercoledì 02 maggio 2018 alle 12:20

Il trasporto marittimo nazionale ed internazionale rappresenta una vera e propria spina dorsale del commercio mondiale. Purtroppo finora il comportamento del settore nella lotta contro i cambiamenti climatici non è stato virtuoso. Secondo i calcoli del Consiglio internazionale per un trasporto meno inquinante, se questo settore fosse un Paese sarebbe al 6° posto nella classifica delle principali fonti di emissione di gas a effetto serra. Il 55% delle emissioni di CO2 originata dal trasporto via mare è causata da tre tipi di grandi navi: navi-container, navi da trasporto di rottami e petroliere. Le maggiori emissioni sono attribuibili a sei Stati di bandiera: Panama, Cina, Liberia, Isole Marshall, Singapore e Malta. Tutti i tipi di navi e i 223 Stati di bandiera avranno una responsabilità nella riduzione delle rispettive emissioni. Ma per ottenere un impatto globale tangibile le misure più incisive dovranno colpire prioritariamente le tre categorie di navi ed i sei Stati di bandiera menzionati.

Contrariamente alle attività legate alla produzione di energia elettrica o al trasporto terreste che hanno già dovuto far fronte a varie misure per ridurre le loro emissioni di CO2 nell’atmosfera, il trasporto marittimo non è stato finora sottoposto a nessun tipo di restrizioni. Anche perché l’Accordo di Parigi sul clima non prevede nessun obiettivo di riduzione delle emissioni prodotte dal trasporto aereo né da quello marittimo. Due settimane fa l’Organizzazione Marittima Internazionale (OMI) delle Nazioni Unite con sede a Londra ha deliberato sul tema della diminuzione delle emissioni di gas a effetto serra causate dai propri stati-membri. Questo tipo di trasporto è oggi responsabile per ca. il 2,5% delle emissioni globali di CO2. Se nessuna misura verrà presa questa percentuale potrebbe raggiungere il 16% entro il 2050. La riunione ha messo in evidenza la posizione contradditoria di alcuni Paesi marittimi poco disposti ad assumere obblighi vincolanti. Fra questi il Brasile e l’Argentina, con l’argomento che – data la loro dipendenza da rotte marittime di lunga distanza – verrebbero penalizzati dagli alti costi derivanti dall’adeguamento tecnologico necessario per raggiungere gli obiettivi di riduzione.

L’aspetto positivo è che si è raggiunto un accordo fra gli Stati per ridurre le emissioni del 50% entro il 2050. Un compromesso inferiore alla proposta dell’Unione europea di riduzione del 70% dovuto anche all’opposizione americana e saudita. L’accordo rappresenta comunque una grossa sfida per gli stati firmatari. Ciò implicherà l’utilizzo progressivo di un carburante alternativo a base di idrogeno, ammoniaca e biocarburanti meno inquinante di quello attuale e anche di navi ibride. Cosa che richiederà tempo. Più urgente è invece la necessità di ridurre a partire dal 2020 le emissioni di zolfo utilizzando gasolio a basso contenuto di zolfo. Questa transizione potrebbe aumentare il prezzo di questo tipo di gasolio e quindi dell’insieme delle tariffe di trasporto navale.

Decisamente la transizione verso un’economia più pulita non è evidente.

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