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Cina: infrastrutture e nuove vie della seta

di Pietro Veglio

  • 13 giugno 2018, 14:20
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Mercoledì 13 giugno 2018 alle 12:20

L’ambiziosa Iniziativa infrastrutturale e commerciale lanciata da Pechino nel 2013 per collegare l’Impero del Centro al resto dell’Eurasia è cresciuta rapidamente. Fino ad oggi gli investimenti infrastrutturali cinesi lungo le rotte terrestri e marittime battezzate come le “nuove vie della seta” hanno superato US$ 50 miliardi. Dal 2013 i numerosi paesi coinvolti hanno scambiato con la seconda potenza del mondo merci per US$ 5'200 miliardi e firmato un centinaio di accordi commerciali e investimento. Oggi lo sviluppo delle “nuove vie della seta” costituisce l’elemento-chiave della politica estera cinese. L’obiettivo di Pechino è di ridurre l’eccesso della propria produzione industriale, incrementare la crescita dell’hinterland e aumentare gli investimenti all’estero e le importazioni.

Il finanziamento di grossi progetti di infrastruttura è avvenuto bilateralmente tramite i fondi erogati dalla Banca cinese per lo sviluppo e la Banca cinese per l’export-import e, a livello multilaterale, attraverso la nuova Banca asiatica per l’investimento nell’infrastruttura. Il volume finanziario e la diversificazione geografica dei progetti hanno assunto una dimensione storica senza precedenti. L’Occidente ha ceduto la leadership in questo settore alla Cina. Pechino tende ad enfatizzare soprattutto gli impatti economici positivi delle nuove infrastrutture e a sottovalutarne gli aspetti negativi. L’approccio occidentale è invece più critico in quanto non trascura l’analisi degli impatti negativi dei progetti sul piano finanziario, sociale ed ambientale e pone l’accento sulle misure per minimizzare gli effetti negativi e sul monitoraggio dell’esecuzione dei progetti.

Gli ingenti finanziamenti pubblici hanno permesso alle imprese cinesi di costruzione e ingegneria civile di assicurarsi la leadership sul mercato internazionale delle infrastrutture. Rispetto alle imprese occidentali le stesse hanno beneficiato di tre vantaggi comparativi: uno Stato autoritario non propenso ad esigere alle proprie imprese il rispetto dei diritti umani; l’appoggio della politica estera per influenzare i governi dei paesi-partner ad accettare la realizzazione delle opere d’infrastruttura; e la forte priorità nazionale accordata allo sviluppo dell’infrastruttura mobilitando l’enorme risparmio disponibile. A loro volta le istituzioni finanziarie cinesi non hanno condizionato i loro finanziamenti al rispetto di norme sociali ed ambientali esigenti. Norme che, sotto la pressione ed il lavoro di lobby delle ONG, furono invece introdotte 20 anni fa dalle istituzionali finanziarie internazionali occidentali come la Banca mondiale, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banche asiatica ed africana per lo sviluppo. Con il risultato che il finanziamento di progetti d’infrastruttura occidentali non sono stati incentivati sufficientemente.

Nel frattempo alcuni progetti cinesi sono stati interrotti da un paio di paesi-partner timorosi della troppo forte dipendenza da Pechino. Inoltre alcuni paesi come le Maldive, Laos, Montenegro, Mongolia, Tagikistan, Kirghizistan, Pakistan e Gibuti potrebbero non riuscire ad assicurare la sostenibilità del debito estero originato dai finanziamenti cinesi per realizzare le infrastrutture sul loro territorio. Come recita un proverbio cinese: “La strada verso il successo è lastricata di ostacoli”.

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