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Argentina: crollo della valuta nazionale

di Pietro Veglio

  • 19 settembre 2018, 14:20
iStock-Peso, Argentina
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Mercoledì 19 settembre 2018 alle 12:20

In Argentina il recente crollo di più del 50% della valuta nazionale nei confronti del dollaro americano ha aperto una nuova crisi economica. Iniziato nell’aprile 2018, il collasso del Peso non si è ancora completamente arrestato. Ciò nonostante la decisione della Banca centrale di aumentare al 60% il tasso d’interesse di riferimento e la concessione nello scorso giugno da parte del Fondo monetario internazionale (FMI) di un prestito-record d’emergenza di ben 50 miliardi di dollari. Per il governo argentino la svalutazione del Peso è drammatica. È indebitato in dollari, ma riscuotendo tasse e imposte riceve pesos. Più il dollaro si rafforza, più pesos ci vogliono per ripagare il debito estero. E per i cittadini la svalutazione è una tragedia quotidiana. Il petrolio, per esempio, è importato e pagato in dollari, il trasporto di merci, alimenti e persone è diventato quindi più caro e il costo della vita è alle stelle.

Nel 2015 l’elezione presidenziale di Mauricio Macri fu salutata positivamente dalla finanza internazionale chiaramente soddisfatta dalla decisione governativa di rimborsare gli enormi debiti pubblici accumulati dai precedenti governi. Le nuove condizioni-quadro adottate dal governo permisero nel 2016 l’accesso ad un finanziamento internazionale di nuovi titoli di stato equivalente a 16,5 miliardi di dollari. Il tutto grazie anche all’aumento dei tassi d’interesse, allora più rimunerativi di quelli occidentali. Ma la luna di miele con la finanza e gli investitori internazionali finì già all’inizio di quest’anno. Innanzitutto, per fattori esterni, come la siccità che danneggiò gravemente l’agricoltura locale, in particolare l’export di soia e mais, fonte di preziose valute estere. Il recente rincaro delle importazioni di greggio, l’insicurezza creata dalle guerre commerciali in atto e l’aumento degli interessi deciso dalla Federal Reserve statunitense non migliorarono la situazione. Ma ci furono anche errori nella conduzione della politica economica. L’euforia per i finanziamenti internazionali ricevuti nel 2016 indusse il governo argentino a dilazionare alcune delle riforme politicamente più problematiche, vedi la riduzione della spesa pubblica a livello di parecchie province. Infine, alcune contraddizioni nella comunicazione governativa relativa alla tempistica dell’esborso del prestito dell’FMI hanno creato insicurezza negli attori economici locali.

È legittimo chiedersi se un governo che rispetta l’ortodossia finanziaria e gode del sostegno della finanza internazionale non è in grado di gestire efficacemente le finanze pubbliche, allora chi lo può fare? La realtà è che quando si profila all’orizzonte un accenno di recessione, i cittadini si precipitano nelle banche locali per convertire i loro risparmi in dollari. È un meccanismo di difesa per tutelarsi individualmente ma che finisce per condannare il Paese-Argentina. Il governo dovrebbe aver capito che la fiducia nei programmi economici dipende dalla psicologia collettiva nazionale. Il piano di austerità fiscale e di riduzione della spesa pubblica non può purtroppo essere abbandonato, pena il peggioramento della crisi attuale. Dato l’alto tasso generale di povertà (33%) è però imperativo assicurare una maggiore simmetria nella ripartizione dei costi sociali dell’austerità.

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