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Ruanda, una generazione dopo il genocidio 

Riflessioni attorno al 30° anniversario

  • Keystone
  • 5.4.2024
  • 30 min
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Sulle mille colline del Ruanda, tornano pian piano a vivere le persone che hanno finito di scontare la loro pena. Sono state in prigione chi per 25, chi 20, chi 15 anni, perché hanno partecipato all’uccisione di almeno 800’000 persone, a colpi di machete nel genocidio del 1994. Molte menti pensanti di allora invece rimangono in carcere, condannate all’ergastolo, altre sono libere, all’estero. 

Sulle mille colline del Ruanda c’è chi non ha mai smesso di coltivare la terra. Fagioli e mais sono i prodotti da mettere nel piatto di tutti i giorni da tanti anni; se poi c’è un po’ di surplus, si vende al mercato. Se piove troppo, il raccolto è distrutto, se non piove, le piantine muoiono. 

Nel cuore del Ruanda, nella capitale fra le colline, si registrano dati da record: un PIL e una crescita economica da far invidia a tutto il continente, una Kigali sempre più “Singapore d’Africa”, una pulizia da far impallidire i netturbini di qualsiasi città svizzera, una stampa allineata al presidentissimo Paul Kagame, zero opposizioni. 

Un silenzio. E un fermo immagine. Un gelo. Ogni anno. Dal 1994, ad aprile, per commemorare le vittime del genocidio. Un paese che può dirsi riconciliato oggi, una generazione dopo il 1994? 

Ne discutiamo con: 

·       OMAR FIORDALISIO – cooperante da 20 anni attivo in Ruanda;

·       MARCELLO FLORES – storico;

.   JEAN-PAUL HABIMANA – superstite del genocidio, docente di religione a Milano.

 

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