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Accordo sul clima

Grossa delusione ma anche nuove speranze, di Pietro Veglio

  • 14 giugno 2017, 14:20
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Mercoledì 14 giugno 2017 alle 12:20

Accordo sul clima

Plusvalore 14.06.2017, 14:20

Con la decisione del presidente Trump di abbandonare l’Accordo di Parigi sul clima, l’isolamento internazionale degli Stati Uniti si accentuato. Il colmo è che Trump ritiene che l’Accordo svantaggerebbe l’America a beneficio dei paesi concorrenti colpendo i cittadini americani con la perdita di posti di lavoro, salari ridotti, chiusure di fabbriche e diminuzione della produzione. Affermazioni coerenti con il principio del “prima l’America” e le promesse elettorali. In realtà l’uscita dall’Accordo non si tradurrà in nuovi posti di lavoro in settori industriali ormai condannati al declino, come l’industria del carbone, o dove il progresso tecnologico è la causa della disoccupazione, come la siderurgia.

Per Trump l’Accordo di Parigi è ingiusto. Accusa ridicola perché lo stesso non è vincolante. Ogni Paese determina infatti autonomamente gli obiettivi da raggiungere in termini di diminuzione delle emissioni di CO2. L’amministrazione Obama si era impegnata a ridurre tali emissioni - rispetto al volume registrato nel 2005 - del 26-28% entro il 2025. Attraverso la chiusura progressiva delle centrali termiche a base di carbone, lo sviluppo dei rinnovabili e norme più esigenti in materia di consumo di carburante delle nuove automobili. Misure che Trump si è affrettato ad abrogare. Se davvero l’Accordo fosse stato ingiusto, Trump avrebbe quindi potuto ridurre gli obiettivi di Obama.

Trump ritiene insostenibile il finanziamento americano al Green Climate Fund delle Nazioni Unite per promuovere i rinnovabili e l’adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in sviluppo. Fondo al quale i Paesi industrializzati hanno finora promesso contributi di US$ 10 miliardi, 3 dei quali da parte degli Stati Uniti (di cui 1 miliardo già versato nel 2016). Per persona, il contributo promesso equivale a $ 9,41, ovvero l’undicesimo rango in una graduatoria capeggiata dalla Svezia. Siccome dopo la decisione di Trump gli Stati Uniti non verseranno più un centesimo, il loro contributo per persona si ridurrà a US$ 3, il penultimo fra i paesi industrializzati. Una miseria considerando che gli Stati Uniti sono il secondo responsabile delle emissioni di CO2 e al primo posto per le emissioni cumulative di CO2 dal 1850 (29% del totale), seguiti da Unione europea (27%) e Cina e Russia (8%).

Cosi gli Stati Uniti sono oggi l’unico Paese, con Nicaragua e Siria, a non aver accettato l’Accordo sul clima. Con la conseguente perdita di autorità morale, credibilità internazionale ed influsso politico. Per fortuna ciò non implica la fine dell’impegno americano: gli stati federali della California, Oregon, Washington e del nord-est cosi come importanti città americane si sono impegnate a rafforzare le loro politiche climatiche. Parallelamente le industrie americane high-tech proiettate verso il futuro hanno manifestato pubblicamente il loro disaccordo con la decisione presidenziale ed il loro rinnovato impegno per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Ma forse le migliori speranze vengono dalla volontà di altri paesi di andare avanti da soli, in primis Europa, Cina ed India. Se l’impegno cinese per il clima è conosciuto, è estremamente significativa la recente decisione dell’India di rinunciare alla costruzione di nuove centrali termiche a base di carbone e di puntare sull’energia solare ed eolica.

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