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Cina: appetito smisurato per le risorse degli oceani

di Pietro Veglio

  • 17 maggio 2017, 14:20
Cina: appetito smisurato per le risorse degli oceani

Mercato di Hong Kong, Cina

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Mercoledì 17 maggio 2017 alle 12:20

Alcuni anni fa il governatore della Banca centrale della Nigeria dichiarò: “L’Africa deve dimenticare la sua visione romantica della Cina ed accettare che Pechino è nel contempo un competitore ed un partner capace di ricorrere agli stessi metodi delle vecchie potenze coloniali”.

Le opinioni in merito a vantaggi e svantaggi della crescente presenza cinese, in Africa ed altrove, ovviamente divergono. Imprese e lavoratori cinesi sono ormai presenti su tutti i continenti, per non parlare delle nuove prospettive che si apriranno con il piano di investimenti “One Belt One Roadt” per potenziare le vie di trasporto via terra fra Asia ed Europa. Nel 2000, la Cina era il principale partner commerciale di soli cinque Paesi; oggi lo è per più di un centinaio. Oltre ai massicci investimenti diretti di imprese statali con l’obiettivo di accaparrarsi le energie fossili e le materie prime, la Cina fornisce prestiti miliardari per finanziare la costruzione di infrastrutture. Il tutto senza condizionarli al rispetto dei diritti umani o a determinati parametri di razionalità nella gestione economica. Certo, generalmente le imprese cinesi esercitano un controllo quasi totale sugli orientamenti e la gestione dei propri investimenti produttivi o infrastrutturali, spesso con pesanti impatti negativi sul piano ambientale. Il tutto rende difficile il raggiungimento di relazioni più simmetriche fra un gigante poderoso e Paesi poveri con debole governance ed incapaci di resistere alle offerte allettanti, soprattutto per le élites, ed alle insidie della corruzione.

Alle asimmetrie più conosciute si è aggiunto recentemente un nuovo fenomeno allarmante: la pesca predatoria praticata dai grossi pescherecci cinesi al largo delle coste dell’Africa occidentale. La FAO ha denunciato che, a livello mondiale, la pesca eccessiva ha già decimato il 90% delle risorse ittiologiche presenti negli oceani. La responsabilità non è evidentemente dovuta solo alle flotte cinesi. Ma il fatto è che i metodi insostenibili adottati da pescherecci sempre più giganteschi e ad alta tecnologia hanno dilapidato non solo le risorse oceaniche disponibili ma minacciano ormai il benessere di milioni di abitanti di Paesi in sviluppo che dipendono dal mare per alimentarsi ed ottenere un reddito decente.

Avendo ormai già dilapidato le proprie risorse ittiologiche e quelle del Mar della Cina, per sfamare la sua enorme popolazione alla Cina non resta altra via che quella di procacciarsele altrove. Secondo vari esperti, questo succede attualmente su larga scala al largo delle coste dell’Africa occidentale, spesso persino all’interno delle acque territoriali, in particolare del Senegal. Secondo un’inchiesta del New York Times l’effetto su questo Paese, dove la pesca dà lavoro al 20% della popolazione ed è la principale fonte di esportazione, è stato devastante. Il tutto con l’appoggio del governo cinese che sussidia generosamente il prezzo del diesel usato dai propri pescherecci che a loro volta beneficiano di esenzioni fiscali e facilitazioni creditizie a livello provinciale e locale. A loro volta, i Paesi africani non hanno le risorse né le capacità per far rispettare il principio di territorialità né per far rispettare gli accordi vigenti.

Urge un monitoraggio internazionale e soprattutto delle sanzioni per modificare queste evoluzioni drammatiche che potrebbero costringerci ad alimentarci di meduse!

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