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Birmania: fine delle sanzioni economiche = meno difficoltà?

di Pietro Veglio

  • 31 maggio 2017, 14:20
Birmania

Bandiera della Birmania

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Mercoledì 31 maggio 2017 alle 12:20

Dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948, la Birmania o Myanmar è stata governata dapprima democraticamente, poi, in seguito a un colpo di Stato nel 1962, da una dittatura militare. Dal 2010, il governo militare ha attuato una serie di riforme politiche, instaurando un governo civile e convocando elezioni parlamentari libere nel 2015. Elezioni vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia guidata ad Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991. Con una popolazione di 53 milioni di abitanti la Birmania è uno dei paesi più poveri del pianeta anche se, dopo decenni di stagnazione, embargo internazionale e isolamento economico, dal 2011 il paese registra una forte crescita economica.

Con l’avvento della democrazia le sanzioni economiche nei confronti della Birmania sono state abrogate. Ideate dall’Occidente per contrastare la giunta militare, il loro abbandono ha contribuito a rompere il quasi-isolamento economico del paese asiatico e ad attrarre più di US$ 30 miliardi di nuovi investimenti esteri e ad aumentare i flussi commerciali. Ma c’è un’altra faccia della medaglia: il principale beneficiario dell’apertura economica è la casta militare che continua a tenere sotto controllo i settori economici strategici: commercio di gemme preziose ma anche turismo di lusso e bevande. Questo evidenzia quanto, in contesti nazionali caratterizzati da debole governance e corruzione sistemica, l’approccio occidentale alla promozione dei diritti umani possa essere illusorio. È infatti relativamente facile colpire un Paese povero e anti-democratico con sanzioni economiche. Ma è molto più difficile promuovere, attraverso l’apertura economica propiziata dall’abbandono delle sanzioni, uno sviluppo più inclusivo che benefici tutta la popolazione.

La realtà è che i militari birmani hanno creato due influenti conglomerati, la Myanmar Economic Corporation e la Myanmar Economic Holdings Limited, di proprietà del Ministero della difesa. Le due entità statali hanno la facoltà di negoziare con le multinazionali straniere ogni nuovo investimento e le loro modalità di gestione sfruttando l’attrattività di cui gode adesso il Paese. Teoricamente il vantaggio di questo tipo di investimenti è quello di promuovere il rispetto delle leggi nazionali, maggiore trasparenza, migliori condizioni di lavoro e norme ambientali più severe. Nella pratica la mancanza di trasparenza nella gestione delle due holdings statali fa sì che si ottenga l’effetto contrario, anche perché gli investitori di Singapore, cinesi ed Hong Kong preferiscono negoziare dietro le quinte e senza dibattito politico né tanto meno pubblico. Di fatto le due entità costituiscono una rete di assistenza sociale per i membri attuali ed i pensionati delle forze armate e le loro famiglie.

Per essere inclusiva la politica di apertura economica dovrebbe essere accompagnata da una sostanziale riforma del sistema nazionale di governance e delle condizioni-quadro economiche e sociali. Obbligando legalmente gli investitori a rispettare le leggi nazionali, in particolare quelle sociali e ambientali. Ma il governo birmano attuale è ancora fragile e le capacità amministrative per assumere un ruolo più incisivo limitate, per non parlare della poca volontà politica di confrontarsi con la potente casta militare più che mai decisa a salvaguardare i propri privilegi.

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