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Miglioramento della qualità dell’aria in Cina: una sfida infinita

di Pietro Veglio

  • 24 gennaio 2018, 13:20
iStock-La Città Proibita Pechino, Cina

La Città Proibita Pechino

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Mercoledì 24 gennaio 2018 alle 12:20

La diminuzione del numero di giornate di smog registrato in Cina nel 2017 in relazione al recente passato rappresenta un progresso positivo. Un progresso importante nell’ardua lotta per migliorare la qualità dell’aria, soprattutto a Pechino e nelle altre mega-città. Al governo cinese va riconosciuto il merito di aver finalmente attuato in modo risolutivo, dopo anni di indifferenza e priorità assoluta alla quasi-venerazione della crescita economica e senza troppe preoccupazioni per le conseguenze ambientali e sulla salute umana. E lo stesso Presidente Xi Jinping ha saputo spronare la burocrazia statale cinese a manifestare una maggiore coscienza ecologica secondo il motto: "Le acque chiare e le montagne verdi sono altrettante pregevoli che le montagne d’oro e argento".

Un risultato iniziale positivo ma con alcune contraddizioni dovute dall’implementazione accelerata, soprattutto a livello provinciale, delle misure dettate da Pechino. Infatti, per ridurre i livelli di emissione di particelle nocive nell’atmosfera, le autorità cinesi iniziarono nel 2013 una campagna per convertire i sistemi centralizzati di riscaldamento termico a base di carbone con quelli a gas naturale e idro-elettricità. Ottima intenzione ma implementata aleatorio da funzionari locali troppo zelanti, per esempio nell’importante provincia settentrionale di Hubei. Funzionari che imposero riduzioni superiori a quelle fissate da Pechino provocando l’espansione troppo rapida della domanda di nuove fonti energetiche e la lievitazione delle tariffe sul loro consumo. La conseguenza fu il razionamento dell’erogazione operata dagli impianti di riscaldamento termico, nel pieno di un inverno particolarmente rigido.

Inoltre gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di particelle nocive non furono sufficientemente coerenti con dati scientifici sistematici, in particolare sull’impatto sulla salute umana. Le misure specifiche privilegiarono le restrizioni all’utilizzo di carbone per la combustione, la riduzione delle emissioni veicolari e quelle delle polveri fini. Ma non vennero ridotte altre emissioni nocive come quelle di ammoniaca utilizzata eni fertilizzanti agricoli che in Cina contribuirebbero nella misura del 20% allo smog. E si sottovalutò l’impatto dello smog sul cancro, proprio quando il cancro, vedi quello polmonare, era diventata la causa principale di mortalità.

Infine, funzionari locali desiderosi di ottenere rapide promozioni, hanno spesso prescritto misure troppo radicali ed unilaterali, specialmente nei confronti di piccole e medie aziende, con un impatto marginale sui livelli totali delle emissioni nell’atmosfera.

L’esperienza cinese dimostra che la priorità accordata agli obiettivi immediati può essere contradditoria con il raggiungimento di risultati sostenibili a media e lunga scadenza. Il potere centralizzato e verticale permette di ottenere risultati notevoli a corta scadenza, risultati più difficilmente raggiungibili nei sistemi democratici e partecipativi. Ma l’eccessiva centralizzazione senza contro-potere democratico può snaturare gli incentivi e quindi i risultati perseguiti dalle politiche ambientali. Anche le migliori intenzioni provocano allora effetti collaterali indesiderati.

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