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Verso una nuova geopolitica dell’energia: vincitori e perdenti

di Pietro Veglio

  • 4 aprile 2018, 14:20
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Mercoledì 04 aprile 2018 alle 12:20

Il petrolio ha dominato a lungo la geopolitica dell’energia. Gli sforzi delle potenze dominanti per assicurarsi l’accesso al greggio, garantirne un trasporto sicuro, impedire ai nemici di procurarselo o di controllarne la produzione ed il commercio sono parte della storia dello scorso e inizio di questo secolo. Siccome petrolio e gas naturale non sono inesauribili e spesso difficilmente estraibili, il loro accesso è stato razionato dal cartello dei paesi-produttori, a svantaggio dei paesi-consumatori.

La scarsità del greggio è oggi diminuita. La prima ragione è il successo della rivoluzione americana legata all’estrazione del petrolio da scisti. Essa ha contribuito a fare degli Stati Uniti il maggior produttore mondiale di greggio e gas naturale combinati. La conseguente abbondanza della produzione e dell’export americani ha beneficiato i paesi-consumatori grazie anche alla diminuzione dei prezzi del greggio e gas. La seconda è conseguenza della graduale transizione dell’economia cinese dall’industria pesante - molto intensiva nell’utilizzo di energie fossili - al settore terziario, meno dipendente dall’energia. Certo, la Cina rimane il maggior importatore mondiale di greggio e gas ma – per ridurre il grave impatto negativo sulla qualità dell’aria e la salute – ha realizzato grossi progressi nello sviluppo dell’energia solare ed eolica. La terza ragione è conseguenza dell’Accordo di Parigi sul clima e l‘imperativo di promuovere fonti di produzione energetica che contribuiscano alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Queste macro-evoluzioni potrebbero penalizzare a lungo termine gli Stati Uniti e la sua maggiore auto-sufficienza energetica. Infatti, qualora il governo attuale dovesse rinunciare a incentivare i rinnovabili e invece a favorire la produzione di energie di origine fossile finirebbe per penalizzare pesantemente il notevole potenziale di sviluppo tecnologico delle ditte americane promotrici di energie pulite. Lo stesso potrebbe verificarsi con la Russia e forse meno con l’Arabia Saudita che – data la sua alta dipendenza dal greggio - sembrerebbe decisa a ridurla puntando maggiormente sui rinnovabili.

A differenza delle energie fossili, i rinnovabili sono potenzialmente disponibili in quasi ogni nazione, ma dipendono dalle ore di insolazione e dall’intensità dei venti. L’espansione decentralizzata dei rinnovabili potrebbe favorire una maggiore auto-sufficienza energetica in varie regioni del globo, anche povere. Una vera “democratizzazione energetica”, insomma. In Africa subsahariana, cio’ favorirebbe – grazie alla diffusione di pannelli solari e mini-sistemi di distribuzione dell’elettricità - un maggiore accesso all’energia. A vantaggio del potere contrattuale regionale nei confronti di quello centralizzato tipico dei sistemi energetici attuali. I perdenti sarebbero i paesi-produttori che dispongono di ampie riserve di energie fossili e che posticipano troppo la transizione verso i rinnovabili. Nei sistemi centralizzati il rischio è la scarsità di energia elettrica, mentre che con i rinnovabili è la sua variabilità. La soluzione dipenderà dallo sviluppo di nuove tecnologie per lo stoccaggio delle energie pulite e di sistemi di distribuzione “intelligenti”. Una sfida fattibile ma non ancora risolta.

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