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Cina: finanziere di uno sviluppo internazionale sostenibile?

di Pietro Vaglio

  • 21 febbraio 2018, 13:20
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Mercoledì 21 febbraio 2018 alle 12:20

La Cina è oggi un attore dominante della finanza internazionale. I finanziamenti pubblici cinesi all’estero concessi durante l’ultimo decennio dalla Banca per lo sviluppo, da quella dell’export-import e da una dozzina di fondi regionali ammontano a più di US$ 700 miliardi. Un portafoglio di prestiti superiore a quello accumulato delle sei principali banche multilaterali internazionali, Banca mondiale compresa. Il rapido balzo in avanti è stato propiziato dall’imperativo di assicurarsi in Africa, Asia ed America Latina l’accesso a materie prime ed energie fossili per lo sviluppo dell’industria nazionale. Ma le due importanti banche statali hanno spesso assunto grossi rischi in Paesi instabili, finanziando costosi mega-progetti di infrastruttura scarsamente redditizi e difficili da implementare. E senza tener conto della naturale volatilità dei prezzi delle materie prime e del loro impatto negativo sulla sostenibilità della situazione debitoria di certi Paesi troppo dipendenti dall’export di petrolio e gas oppure estremamente fragili.

Un esempio? Dal 2007 il totale dei prestiti concessi dalla Cina al Venezuela è stato di ben US$ 65 miliardi per il finanziamento di raffinerie di petrolio, miniere aurifere, servizi di telefonia mobile, commercio estero, ferrovie, ecc. Quando dieci anni fa la Cina iniziò a prestare massicciamente al governo Chavez lo fece convinta che il Paese con le maggiori riserve petrolifere comprovate fosse in grado di rimborsare i prestiti ricevuti. Anche perché ritenne che il Venezuela avesse adottato una politica di maggiore prudenza finanziaria rispetto al passato. Ma la Cina dovette ricredersi, complice anche la diminuzione dei prezzi del greggio a partire dal 2014. Nel 2016 fu obbligata a ristrutturare i crediti concessi accordando dilazionamenti dei rimborsi. Ma le preoccupazioni non sono finite perché il Venezuela – alle prese con una gravissima crisi economica – è a rischio-“default”, con la conseguente probabilità di pignoramento dei suoi attivi all’estero da parte dei creditori.

I rischi elevati concernono anche altri Paesi: la Russia, con prestiti cumulati per US$ 15,7 miliardi, cosi come Sudan (US$ 4 miliardi) e Zimbabwe (US$ 3,6 miliardi). Prestiti il cui rimborso potrebbe avverarsi problematico. Nel frattempo varie circostanze suggeriscono che il governo cinese stia imparando la lezione e privilegi oggi un approccio più prudente, esigendo anche interessi più elevati.

Contemporaneamente il finanziamento e l’esecuzione di alcuni mega-progetti di infrastruttura si sono rivelati assai problematici, in particolare quello dei treni ad alta velocità, settore dell’high tech prioritario e prestigioso per la Cina. Secondo il Financial Times cinque progetti in Libia, Messico, Myanmar, Stati Uniti e Venezuela per un totale di US$ 47,5 miliardi hanno dovuto essere abbandonati. Il fallimento più vistoso è quello della linea ferroviaria ad alta velocità Tinaco-Anaco in Venezuela abbandonata in piena costruzione per la cattiva gestione da parte delle istituzioni venezuelane. Un progetto da US$ 800 milioni elogiato nel 2009 da Chavez come simbolo del “socialismo sui binari” ma oggi considerato un relitto sinonimo di “elefante rosso”.

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